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Lo Zen e l’Affrontare il Futuro Climatico

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di Eugenio Ghyotan

Con questo post segnalo una serie di video su un tema che mi sta a cuore e credo rilevante anche per un’associazione Zen.

Il mondo attuale sta attraversando numerose crisi, molte delle quali interconnesse. Secondo molti, la crisi più grave è la crisi ambientale dovuta al cambiamento climatico, causato dalle attività umane. Una delle ragioni è che, se non si agisce in fretta, tra qualche anno (come riferimento prendiamo il 2030) la situazione diverrà estremamente difficile da risolvere.

Perché parlarne in un sito di una scuola di Buddismo Zen? Penso che l’insegnamento buddista si sia sempre adattato alla storia e al contesto, ad un mondo che inevitabilmente cambia. Inoltre, uno dei concetti cardine dell’insegnamento buddista è l’interconnessione; e lo sperimentiamo, per fare uno dei tanti esempi possibili, quando facciamo meditazione e ci rendiamo subito conto che non siamo separati dall’aria che respiriamo… E poi c’è il rapporto, sempre presente nello Zen, con la Natura. Ricordo che anni fa il Maestro Taino scrisse un breve articolo, intitolato, cito a memoria, “I giardinieri del mondo”, sul rapporto uomo-natura, in Giappone e in Occidente. (Edit del 28/8: successivamente alla pubblicazione di questo post, mi sono imbattuto in questo intervento esaustivo e chiaro del prof. Giangiorgio Pasqualotto, ben noto tra i discepoli del Maestro Taino, dal titolo: “Buddismo ed ecologia profonda”, tenuto in un Convegno organizzato dall’UBI nel 2022)

La scienza è unanime nelle conclusioni che attribuiscono le cause del cambiamento climatico all’essere umano. Oltre che modelli di previsioni, può fornire alcune soluzioni parziali (energie rinnovabili, efficienza energetica, innovazione tecnologica, educazione dei cittadini, riforestazione, etc.), che attualmente non sono risolutive, e, questa è la mia opinione, non sono sufficienti a porre rimedio complessivamente. Non solo perché non è detto che la politica segua le indicazioni della scienza ma anche perché quello che serve è una nuova consapevolezza globale e spiritualità, e in questo la pratica buddista può avere un ruolo. I due pericoli maggiori, secondo me, sono rappresentati dalla posizione dei “catastrofisti”, che ritengono che tutto sia ormai perduto e non valga la pena impegnarsi, e quella degli scettici o negazionisti, secondo cui non c’è alcun cambiamento climatico causato dall’uomo.
Ecco, l’assumere una posizione attiva e positiva, di impegnarsi in un cambiamento, senza scoraggiarsi, è davvero difficile, e può avvenire grazie a una forte centratura e fiducia, frutto anche della propria spiritualità e realizzazione. Quanti racconti ci sono nello Zen di Maestri Zen che esortano a fare la propria parte, pur piccola, con tutto se stessi senza pensare al risultato? Ricordo nel libro di Shibayama Zenkei, “Un fiore non parla”, la parabola, citata come esempio dell’ideale dello Zen, di un uccellino che prova a spegnere un incendio (per rimanere in tema 🙂 ) in una montagna facendo la spola con il lago vicino, per rilasciare poche gocce dalle ali in ogni viaggio. Sempre nello stesso libro si cita il detto: “Diamo lavoro a un santo buffone e riempiamo insieme il pozzo di neve”.

Le conseguenze del cambiamento climatico impattano sulla vita di tutti noi. Nella nostra scuola, i voti del relativo o del sociale dicono: “Faccio il voto di impegnarmi per l’accettazione, la solidarietà, la sincerità, l’uguaglianza, la parità tra i sessi, la libertà, la benevolenza, il rispetto di ogni esistenza.”
Ebbene, come dirà poi Christiana Figueres nel video in basso, le conseguenze della crisi climatica amplificano le ingiustizie: quella dell’emisfero settentrionale della Terra (più industrializzato) rispetto all’emisfero meridionale, quella della nostra generazione e di quella precedente rispetto alle generazioni future dei nostri figli e nipoti che si troveranno a dover gestire una situazione emergenziale, è una ingiustizia socioeconomica, perché quelli che hanno più inquinato ( i paesi più ricchi) riescono più facilmente, almeno nel breve termine, a sottrarsi alle conseguenze, che invece subiranno i più poveri, che poco hanno inquinato; è ingiusto anche dal punto di vista dell’uguaglianza di genere, perché le decisioni rilevanti nella storia umana sono state prese finora da uomini e le donne e i bambini, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, saranno quelli che subiranno maggiormente le conseguenze.

Ma veniamo alla serie di video. Sono stati pubblicati questo agosto e intervengono tre donne, Christiana Figueres, che è stata la Segretaria Esecutiva del gruppo delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), e grazie anche alle sue doti di leadership inclusiva e collaborativa si è arrivati agli accordi di Parigi del 2016 (e siamo in ritardo rispetto agli impegni presi allora…). L’altra donna è Joan Halifax, una Roshi Zen del lineaggio di Bernie Glassman ( e quindi una scuola di buddismo impegnato nel sociale), autrice di numerosi libri molto interessanti (segnalo questo in italiano: “Abbracciare l’infinito. Far nascere compassione e coraggio di fronte alla morte”). Joan Halifax è stata anche antropologa prima ancora di insegnante di Zen. Il suo centro di chiama Upaya, negli USA. Infine, Rebecca Solnit è una scrittrice sulle tematiche del femminismo e dell’ecologia.

Il titolo della serie è “Uncertainty and Possibility—Meeting the Climate Future”. L’intera serie è disponibile sul sito di Upaya: https://www.upaya.org/2023/08/video-series-uncertainty-and-possibility-meeting-the-climate-future/

Il video in cui c’è la parte che ho parafrasato sulle ingiustizie è il numero 5, che può essere visto direttamente qui: https://vimeo.com/854035825/f047154fb2


1 commento su “Lo Zen e l’Affrontare il Futuro Climatico”

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