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Ripensando alla sesshin di Camaldoli.1

Sarebbe interessante condividere “Pensieri&Parole” dei partecipanti alla sesshin di Camaldoli (sono benvenute anche delle proposte alle quali poi si risponderà).

Chi vuol farlo inserisca l’articolo con lo stesso titolo e la numerazione progressiva (il prossimo sarebbe “Ripensando…2).

Di seguito le riflessioni di Jacopo.

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Eccomi qui.

In primo luogo, un mio piccolo pseudo-haiku, di cui, per quel che vale, vi faccio dono. Dato il nome che vi siete dati, mi è sembrato quasi d’obbligo.

Finirà quest’estate

La brezza d’oceano alle porte

A sera nel buio un fiore

Qualche riflessione/proposta sull’esperienza della sesshin di Camaldoli.

1) “L’idea del lavoro”. Qualcuno ne ha parlato come qualcosa che faceva parte delle sesshin di Taino. Personalmente ritengo che non sarebbe una cattiva idea reintegrare qualcosa del genere, magari sfruttandolo per fare alcune delle cose che altrimenti si devono un po’ affrettare l’ultimo giorno. Credo – e mi correggerete se sbaglio – che il valore unico dei momenti di lavoro stia in quel connubio fra attenzione al presente e relazione viva con gli altri che, invece, nel normale zazen si recupera solo a un certo livello.

2) “Yoga/Tai chi”. Mi sono sembrate iniziative molto belle e lodevoli, ma proprio per questo penso che forse sarebbe meglio ritagliare loro uno spazio a parte, magari più articolato. Ad esempio, prendendo spunto dalle nostre conversazioni sulle inevitabili difficoltà degli occidentali con la posizione, prevedere piccoli lezioni/seminari di Hatha yoga o simili, volti a trasmettere una serie di esercizi da praticare nel tempo per migliorare. Per quanto riguarda la sesshin, si potrebbe prevedere magari un primo giorno più leggero a livello meditativo, ma con una più intensa pratica del genere, che sarebbe così speculare a quanto avviene con l’ultimo giorno. Però su questo ovviamente deferirei alla valutazione delle persone più esperte come Paolo Shoju; può darsi benissimo che avere lo stesso livello di pratica tutti i giorni sia importante proprio come supporto alla posizione fino alla fine.

3) “Orario della sesshin”. Sempre sulla struttura delle attività, l’ultima considerazione, sicuramente la più personale, riguarda l’organizzazione oraria della sesshin. Il fatto è che, per come sono fatto, devo ammettere che la trovo un po’ difficile da seguire, specialmente per via del carico dell’impegno sulla sera e sulla mattina, lasciando magari un po’ più scoperto il pomeriggio. Mi rendo conto che questo deve discendere dall’attenzione che si deve dare al koan. Ovviamente ho considerato più volte di anticipare la sveglia, ma anche in quel caso, andando a dormire tardino, è piuttosto dura (anche perché, se ho un’altra debolezza fisica, è proprio un certo bisogno di sonno!). Personalmente credo che una pausa mattutina di un’ora non sarebbe una cattiva idea, anche a costo di recuperare la mezz’ora facendo di più nel pomeriggio, o al limite con una sveglia alle sei.

4) “Informazioni di contesto generale a livello storico-culturale”.  Si potrebbe valutare di dare delle informazioni più dettagliate sui testi commentati, come anche riportare da qualche parte le traduzioni dei testi che si recitano la mattina. So che qui è facile dare subito l’idea di voler “intellettualizzare” la pratica, ma onestamente, nel corso del tempo, mi sono fatto l’idea abbastanza chiara che un conto è comprendere che c’è un’area dell’esperienza e del cambiamento interiore che non è toccata o agita dalla cognizione, un altro conto è pensare che la cognizione non serva a niente o non possa comunque influenzare in modo anche pesante il modo in cui la coscienza poi si racconta quella dimensione. E anche al di là di questo livello ultimo del problema – forse per il momento troppo ambizioso – credo che tutto ciò intersechi la questione della trasmissione di una forma religiosa/spirituale/filosofica a persone formate in una cultura molto diversa: come il buddhismo stesso ha insegnato a tutti, è qualcosa che funziona solo attraverso profonde ristrutturazioni. Del resto, l’impressione che mi sto facendo è che l’impresa che vi trovate ad affrontare sia così difficile non soltanto per la complessa eredità di Taino, ma anche perché molto di quel lavoro è ancora da fare (e non solo per voi). Ora, per tornare al suggerimento iniziale, io credo che non tutta la mentalità critica e le capacità intellettuali e culturali degli occidentali siano da buttar via con l’acqua sporca, e che quindi voi che potete farlo con più consapevolezza potreste forse iniziare a ragionare di piccoli spazi di semina di elementi intellettuali che in qualche modo facciano cenno a quelle facoltà, per poi ricondurle nell’alveo dell’intento fondamentale. Penso a dei semini ritagliati precisamente per non essere ingombranti rispetto al resto, ma al tempo stesso capaci di agire da ponte verso gli aspetti più “alienanti” dell’esperienza. Anche la semplice traduzione di un dharani, riportata a parte, potrebbe avere questo effetto.

Concludo qui; direi che ho scritto anche troppo. Spero che, quandunque ci rivedremo e a qualunque titolo, intanto queste righe possano essere di un qualche stimolo o utilità.

Un gentile saluto a tutti. J

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